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KHM 092
Un mercante aveva due figli, un maschietto e una femminuccia, che erano piccoli e non camminavano ancora. Egli mandò in mare due navi cariche di merci e lì c'erano tutti i suoi beni; e mentre sperava in un cospicuo guadagno, giunse la notizia che erano colate a picco. Invece di essere un riccone, egli era adesso un pover'uomo, e non gli restava altro che un campo fuori dalla città. Per dimenticare un po' i suoi guai, andò nel campo; e mentre passeggiava su e giù, si trovò accanto all'improvviso un omino nero, che gli domandò perché, fosse così triste e che cosa lo affliggesse tanto. Il mercante disse: "Se potessi aiutarmi, te lo direi." - "Chissà," rispose l'omino nero, "forse posso; parla!" Allora il mercante gli raccontò che tutta la sua ricchezza era andata persa in mare e che gli rimaneva soltanto quel campo. "Oh! Non preoccuparti per questo," rispose l'omino. "Se mi prometti di portare qui fra dodici anni la cosa che a casa ti verrà fra le gambe per prima, avrai denaro a volontà." Il mercante pensò: E' ben poca cosa: che mai altro può essere se non il mio cane? Non pensò al suo piccino, acconsentì e lasciò all'uomo una promessa scritta con tanto di sigillo; poi se ne andò a casa.
Quando giunse a casa, il suo bambino fu così contento che reggendosi alle sedie, gli andò incontro barcollando, e gli si aggrappò alle gambe. Allora il padre si spaventò e capì quale promessa avesse fatto, ma poiché, di denaro non ne vedeva, pensò che si fosse trattato di uno scherzo da parte dell'omino. Circa un mese più tardi andò in solaio per cercare del vecchio vasellame di stagno, che voleva vendere per ricavare qualche soldo; e vide per terra un gran mucchio di denaro. A quella vista si rallegrò, fece degli acquisti, divenne un mercante ancora più ricco di prima, e lasciò correre le acque per la loro china. Nel frattempo il bambino cresceva e divenne un giovane giudizioso. Ma più si avvicinavano i dodici anni, più il mercante si affliggeva, tanto che gli si leggeva in faccia il tormento. Così, un giorno il figlio gli domandò cosa avesse. Il padre non voleva dirlo, ma il ragazzo insistette tanto, finché, egli rivelò di averlo promesso a un omino nero, senza sapere cosa stesse facendo, e di aver ricevuto in cambio molto denaro. Aveva rilasciato una promessa scritta e sigillata, e allo scadere dei dodici anni doveva consegnarlo. Il figlio disse: "Babbo, non abbiate paura: tutto andrà bene, l'uomo nero non ha alcun potere su di me."
Il figlio si fece benedire dal sacerdote e, quando venne il momento, andò nel campo con il padre; tracciò un cerchio e vi entrarono tutti e due. Allora venne l'omino nero e disse al vecchio: "Hai portato ciò che mi hai promesso?" Ma l'uomo taceva e il figlio domandò: "Che cosa vuoi tu qui?" Disse l'omino nero: "Devo parlare con tuo padre, non con te." Il figlio rispose: "Tu hai adescato e ingannato mio padre, restituisci la promessa scritta." - "No," rispose l'omino nero, "non rinuncio al mio diritto." Parlarono ancora a lungo insieme, e finirono col mettersi d'accordo: il figlio non apparteneva più al Nemico, ma neanche a suo padre; doveva salire su una barchetta, su un fiume che scorreva giù per la china; proprio il padre avrebbe scostato la barca con il piede, abbandonando il figlio alle acque. Così il giovane prese congedo dal padre, salì su una barchetta e il padre stesso dovette scostarla con il piede. La barchetta si capovolse, sicché, la chiglia venne a galla e il ponte finì sott'acqua; il padre credette che il figlio fosse morto, andò a casa e si mise in lutto.
Ma la barchetta non affondò, continuò tranquillamente il suo viaggio, e il giovane se ne stava là dentro al sicuro; la barchetta navigò a lungo, finché, si arenò su una riva sconosciuta. Allora il giovane scese a terra e vide un bel castello davanti a s, e vi si diresse subito, ma quando entrò si accorse che il castello era stregato; le stanze erano vuote meno l'ultima, nella quale si imbatté, in una serpe. Ma la serpe era una principessa stregata che si rallegrò al vederlo e gli disse: "Vieni, mio liberatore! Ti ho atteso per dodici anni; questo regno è stregato e tu devi liberarlo. Questa notte verranno dodici uomini neri carichi di catene che ti chiederanno cosa sei venuto a fare qui; tu sta' zitto e non dare loro risposta, lascia che facciano di te quello che vogliono: ti tormenteranno, ti picchieranno e ti trafiggeranno; tu lasciali fare e taci: a mezzanotte devono andarsene. La seconda notte ne verranno altri dodici; e la terza ventiquattro, che ti taglieranno la testa; ma a mezzanotte cessa il loro potere, e se tu hai resistito e non hai detto neanche una parola, allora sono libera. Verrò da te e porterò l'acqua della vita, ti fregherò con quella e tornerai vivo e sano come prima." Egli disse: "Ti libererò volentieri." E tutto si svolse com'ella aveva detto: gli uomini neri non poterono strappargli neanche una parola, e la terza notte la serpe si mutò in una bella principessa che venne con l'acqua della vita e lo risuscitò. Allora ella gli saltò al collo e lo baciò, e in tutto il castello vi fu grande gioia. Fu celebrato il loro matrimonio ed egli divenne re del monte d'oro. Vivevano felici insieme e la regina partorì un bel maschietto. Erano già passati otto anni, quando il giovane si ricordò di suo padre; il suo cuore si commosse e desiderò andarlo a trovare. La regina però non voleva lasciarlo partire e diceva: "So già che ciò sarà la mia disgrazia." Ma egli non le dette pace, finché ella acconsentì. Quando si salutarono, ella gli diede un anello magico e disse: "Prendi questo anello e mettilo al dito; sarai subito trasportato dove desideri andare; ma devi promettermi di non desiderare che io venga da tuo padre." Egli promise, si mise l'anello al dito e desiderò di trovarsi davanti alla città dove viveva suo padre. Ci fu immediatamente, ma quando arrivò davanti alla porta della città, le guardie non volevano lasciarlo entrare, poiché, le sue vesti erano sfarzose ma bizzarre. Allora egli andò su di un monte dove c'era un pastore che custodiva le pecore; scambiò gli abiti con lui, indossò il vecchio vestito da pecoraio e così entrò indisturbato in città. Quando giunse da suo padre, si fece riconoscere, ma il mercante disse che non voleva credere che egli fosse suo figlio; ne aveva avuto sì uno, ma era morto da un pezzo. Ma siccome vedeva che era un povero pastore bisognoso, gli avrebbe dato volentieri un piatto di minestra. Allora il pastore disse ai suoi genitori: "Io sono davvero vostro figlio: non sapete se sul mio corpo c'è qualche voglia dalla quale possiate riconoscermi?" - "Sì" rispose la madre "Nostro figlio aveva una voglia di lampone sotto il braccio destro." Allora egli rimboccò la manica della camicia, essi videro la voglia di lampone e non dubitarono più che fosse loro figlio. Poi egli raccontò che era il re del monte d'oro, che sua moglie era una principessa e che avevano un bel bambino di sette anni. Disse il padre: "Non lo crederò mai! Bel re davvero che se ne va in giro con un vestito da pecoraio!" Allora il figlio andò in collera e, senza pensare alla sua promessa, girò l'anello e desiderò di avere con s, la moglie e il bambino. In un attimo essi comparvero, ma la regina piangeva e si lamentava, dicendo che egli non aveva mantenuto la sua parola e l'ave va resa infelice. Egli la placò e cercò di rabbonirla; ella finse di chetarsi, ma in realtà aveva intenzioni cattive. Egli la condusse fuori dalla città, nel campo, e le mostrò il fiume dove la barchetta era stata allontanata; poi disse: "Sono stanco; siediti, voglio dormire un po' sul tuo grembo." Le mise la testa in grembo ed ella lo spidocchiò un poco, finché, egli si addormentò. Quando si fu addormentato, ella gli sfilò l'anello dal dito, ritrasse il piede che era sotto di lui e lasciò soltanto la pantofola. Quindi prese con s, il bambino e desiderò di ritornare nel suo regno. Quand'egli si svegliò, si ritrovò solo: la moglie e il bambino erano scomparsi, e così pure l'anello che portava al dito; soltanto la pantofola era ancora là, come segno. "Non puoi più ritornare a casa dai tuoi genitori" pensò. "Direbbero che sei uno stregone. Devi metterti in cammino e andare, finché, arrivi nel tuo regno." Così se ne andò finché, giunse a una montagna dove tre giganti si stavano dividendo l'eredità paterna. Quando lo videro passare lo chiamarono e dissero che gli ometti sono assennati: egli doveva perciò ripartire l'eredità fra di loro. Essa consisteva in una spada: se uno la prendeva in mano e diceva: "Giù tutte le teste, meno la mia" tutte le teste cadevano a terra. Poi c'era un mantello: chi lo indossava era invisibile. Infine un paio di stivali: chi li infilava, e desiderava di essere da qualche parte, vi era all'istante. Egli disse che dovevano dargli i tre oggetti, perché, potesse constatare se erano ancora in buono stato. Allora gli diedero il mantello; egli se lo mise addosso, desiderò di essere invisibile come una mosca e subito lo divenne. "Il mantello va bene" disse. "Adesso datemi la spada." Essi dissero: "No, non te la diamo, perché, se tu dicessi: "giù tutte le teste, meno la mia" le nostre teste cadrebbero, e soltanto tu conserveresti la tua." Ma poi gliela diedero lo stesso a condizione che la provasse su di un albero. Così fece, e constatò che anche la spada funzionava bene. Allora egli volle provare anche gli stivali, ma i giganti dissero: "No, non te li diamo, poiché, se tu li infilassi e desiderassi di essere in cima al monte, noi staremmo quaggiù a mani vuote." - "No" diss'egli "Non lo farò." Ed essi gli diedero anche gli stivali. Quand'egli ebbe tutti e tre gli oggetti desiderò di trovarsi sul monte d'oro, ed ecco che già si trovava laggiù; i giganti erano spariti e così fu divisa quell'eredità. Avvicinandosi al castello udì suon di flauti e violini, e la gente gli disse che sua moglie stava festeggiando le nozze con un altro principe. Allora egli indossò il mantello, e mutatosi in una mosca, andò a mettersi dietro alla sua sposa, invisibile a ognuno. Quando le mettevano nel piatto un pezzo di carne, egli lo prendeva e lo mangiava; e quando le versavano un bicchiere di vino, lo prendeva e lo beveva; per quanto continuassero a servirla, non aveva mai nulla nel piatto. Ella si vergognava, così si alzò e andò in camera sua a piangere, ed egli la seguì. Ella disse fra s,: "E' il diavolo che mi sta addosso? Non è ancora venuto il mio liberatore?" Allora egli le diede due belle sberle e disse: "Non è venuto il tuo liberatore? E' lui, perfida, che ti sta addosso! Ho meritato questo da te?" Poi andò nella sala e annunciò che le nozze erano finite poiché, lui era ritornato. Allora fu schernito da re, principi e consiglieri che erano riuniti là. Ma egli non fece tante parole e domandò se si decidevano ad andarsene o no. Quelli volevano catturarlo, ma egli trasse la spada e disse: "Giù tutte le teste, meno la mia!" Allora tutte le teste rotolarono per terra, ed egli fu di nuovo re del monte d'oro.
— FINE —
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