< Precedente |
Index |
Seguente > |
KHM 171
Nei vecchi tempi, ogni cosa aveva un senso, un suono ed un significato. Il martello del fabbro risuonava e gridava: "bat-ti-lo, bat-ti-lo". E la pialla del falegname, frusciando faceva: "tru-cio-li, tru-cio-li". E quando il mulino con la sua ruota cominciava a battere, ciò voleva dire: "Aiutami-buon-dio, aiutami-buon-dio". E il mugnaio era un imbroglione e lo metteva in moto, il mulino parlava chiaro e diceva: "chi-è-là, chi-è-là". Poi in fretta rispondeva: "il mugnaio, il mugnaio". E poi in frettissima: "ruba svelto, ruba svelto, di un ottavo tre settimi".
A quel tempo anche gli uccelli avevano un linguaggio, e tutti li capivano. Oggi si sente solo cinguettare, squittire, zuffolare, e qualche volta una musica senza parole. Ed ecco che gli uccelli si misero in testa di non restar più senza capo e di eleggersi un re. Solo uno era contrario, la pavoncella, libera era vissuta e libera voleva morire, e gridava affannosamente volando qui e là. "Via di qui, via di qui." Si rifugiò nelle paludi solitarie ed abbandonate, e non si fece più vedere dai suoi simili.
Ora gli uccelli volevano discutere la cosa e una bella mattina di maggio si radunarono dai boschi ai campi. C'erano aquile, fringuelli, civette e cornacchie, allodole e passeri - non mi va di nominarli tutti. Vennero persino il cuculo e l'upupa, il suo sagrestano, come si dice, perché si fa sempre sentire un paio di giorni prima. Agli stormi si unì anche un piccolo uccellino, che ancora non aveva nome. La gallina, che non sapeva niente di tutta la faccenda, molto si stupì di quella grande assemblea: "Co-co-co-cosa c'è?" ma chiocciò il gallo la tranquillizzò e le disse: "son-tutti-ricchi-chi", e poi le raccontò quello che volevano fare. Gli uccelli stabilirono che avrebbero fatto re chi volava più in alto. All'udirli, una raganella, che se ne stava fra i cespugli, li mise in guardia gridando: "bagnato, bagnato, bagnato" e voleva dire che ci sarebbero state lacrime. Ma la cornacchia disse: "gra-cida, gra-cida, tutto sarebbe filato liscio". Stabilirono di levarsi a volo proprio in quel mattino così bello, subito, perché poi nessuno protestasse e dicesse: "Sarei arrivato anch'io così alto, ma si era fatto sera e non ho potuto". Ad un dato segnale, tutto lo stormo prese il volo. Dal campo si alzò la polvere e fu tutto un frullo d'ali, un fremito ed un battito. Pareva che passasse una nuvola nera. Presto gli uccelli più piccoli rimasero indietro, non erano più in grado di proseguire e ricaddero a terra. I più grandi ressero più a lungo, ma nessuno fu in grado di gareggiare con l'aquila, che volava tanto in alto che avrebbe potuto cavar gli occhi al sole. Quando vide che gli altri non potevano più raggiungerla pensò: "Perché volare ancora più in alto? Tanto sei tu il re". E prese a scendere. Gli uccelli di sotto le gridavano ad una voce: "Tu sarai il nostro re, nessuno è volato più in alto". "Ed io?", strillò l'uccellino senza nome, che si era nascosto fra le piume, sul petto dell'aquila. E siccome non era stanco, prese il volo e volò così in alto che gli riuscì di vedere Dio sul trono. Ma quando fu arrivato lassù, ripiegò le ali, discese e strillò con una vocina sottile: "Il re sono io, il re sono io".
"Tu nostro re?" gridarono gli uccelli con rabbia. "Tu hai circondarono dal trucco e astuzia!" Così hanno fatto un'altra condizione. Egli deve essere il re che potrebbe scendere più basso della terra. Come l'oca ha fatto patta in giro con il suo ampio petto quando era ancora una volta sulla terra! In quanto tempo il gallo graffiato un buco! L'anatra è venuto fuori il peggio di tutto, per lei saltò in un fosso, ma slogato le gambe, e dondolando via ad un laghetto vicino, gridando: "Cheating, barare!" Il piccolo uccello senza un nome, tuttavia, cercò un mouse-buco, scivolò dentro, e gridò fuori di esso con la sua piccola voce: "Io sono il re! Io sono il re!"
"Tu nostro Re!" gridarono gli uccelli ancora più rabbia. "Credi tu la tua astuzia prevarrà?" Sono determinati a tenerlo prigioniero nel foro e lo affamare. Il gufo è stato posto come sentinella di fronte ad essa, e non era quello di lasciare che il furfante se avesse alcun valore per la sua vita. Quando fu sera tutti gli uccelli sentivano molto stanchi dopo esercitare le loro ali così tanto, così andarono a letto con le loro mogli e figli. Il gufo rimase in piedi solo con il mouse buche, guardando fermamente in esso con i suoi grandi occhi. Nel frattempo anche lei, si era stancato e ho pensato a se stessa, "Si potrebbe certamente chiudere un occhio, si continua a guardare con l'altro, e il piccolo miscredente non potrà uscire dal suo buco." Così chiuse un occhio, e con l'altra guardava dritto al topo buche. Il piccino ha messo fuori la testa e guardò, e voleva scivolare via, ma il gufo si fece avanti subito, e si ritrasse di nuovo la testa. Poi il gufo aprì un occhio nuovo, e chiuse l'altro, con l'intenzione di chiuderli a turno per tutta la notte.
Ma quando la prossima chiuse un occhio, ha dimenticato di aprire l'altro, e non appena entrambi i suoi occhi erano chiusi si addormentò. Il piccino presto osservato che, e scivolò via.
Da quel giorno in poi, il gufo non ha mai avuto il coraggio di mostrarsi alla luce del giorno, perché se lo fa gli altri uccelli inseguire lei e cogliere le penne fuori. Lei vola solo di notte, ma odia e persegue i topi perché fanno questi buchi brutti. Il piccolo uccello, troppo, è molto riluttante a farsi vedere, perché ha paura che gli costerà la vita se viene colto. Ruba circa nelle siepi, e quando egli è abbastanza sicuro, a volte piange, "Io sono il re," e per questo motivo, gli altri uccelli lo chiamo in derisione, 'il re delle siepi'. Nessuno, però, era così felice come l'allodola di non dover obbedire al piccolo re. Non appena compare il sole, lei sale in aria e grida: "Ah, che bello che è! Bella che è! Bello, bello! Ah, che bello che è!"
— FINE —
privacy policy | © seiyaku |