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I sette svevi

KHM 119

C'erano una volta sette svevi: il primo era il signor Schulz, il secondo Jackli, il terzo Marli, il quarto Jergli, il quinto Michal, il sesto Hans, il settimo Veitli; e tutti e sette intendevano girare il mondo in cerca di avventure e di grandi imprese. Ma per andare sicuri e ben armati, pensarono bene di farsi fare uno spiedo, uno solo ma ben forte e lungo. Lo impugnarono tutti e sette insieme: davanti camminava il più audace e il più forte, e questi doveva essere il signor Schulz, poi venivano gli altri in fila, e l'ultimo era Veitli. Un giorno di luglio avevano fatto molta strada, e ne avevano ancora tanta da percorrere per arrivare al villaggio dove volevano passare la notte, quando su di un prato, all'ora del tramonto, uno scarabeo gigante o un calabrone passò in volo dietro un cespuglio, non lontano da loro, e ronzò minacciosamente. Il signor Schulz si spaventò tanto che per poco non lasciò cadere lo spiedo e, per la paura, il sudore gli corse per tutto il corpo. "Ascoltate! Ascoltate!" gridò ai suoi compagni. "Dio mio, sento un tamburo!" Jackli, che teneva lo spiedo dietro di lui, e che fiutò non so quale odore, disse: "Sta succedendo senza dubbio qualcosa, perché, sento odore di polvere di miccia!" A queste parole il signor Schulz prese la fuga e in men che non si dica saltò una siepe; ma siccome cadde proprio sui denti di un rastrello rimasto lì dopo la fienagione, il manico lo colpì in faccia e gli diede una bella botta. "Povero me! Povero me!" gridò il signor Schulz. "Prendimi prigioniero! Mi arrendo! Mi arrendo!" Gli altri sei si avvicinarono saltellando e gridarono uno dopo l'altro: "Se ti arrendi tu, mi arrendo anch'io! Se ti arrendi tu, mi arrendo anch'io!" Infine, poiché, non c'era nessun nemico che volesse legarli e portarli via, si accorsero di aver preso un abbaglio; e perché, la storia non si diffondesse, e per non essere dileggiati e scherniti dalla gente, giurarono di tenere la bocca chiusa, finché, uno di loro non l'avesse aperta. Poi proseguirono il loro cammino. Ma il secondo pericolo che incontrarono non si può paragonare al primo.

Qualche giorno dopo, la strada li condusse attraverso un campo incolto; là c'era una lepre che dormiva al sole, con le orecchie dritte e i grandi occhi vitrei sbarrati. Alla vista di quella belva terribile si spaventarono tutti e tennero consiglio su quale fosse la soluzione meno pericolosa. Infatti se fuggivano c'era da temere che il mostro li avrebbe rincorsi e ingoiati in un boccone. Così dissero: "Dobbiamo sostenere una grande e pericolosa battaglia, la fortuna aiuta gli audaci!" Impugnarono tutti e sette lo spiedo, il signor Schulz davanti e Veitli per ultimo. Il signor Schulz voleva tenere fermo lo spiedo, ma Veitli, in coda, si era fatto ardito, volle attaccare e gridò:"Animo Svevi, combatter dovete oppure zoppi qui resterete!"Ma Hans seppe pungerlo sul vivo e disse:"Ah! Diamine! Hai proprio un bel dire, tu, che sei sempre l'ultimo ad agire!"Michal gridò:"Certo nessun dubbio c'è! E' proprio il demonio davanti a te!"Poi toccò a Jergli, che disse:"Se lui non è, fratellastro o madre sarebbe, su ciò nessun dubbio sussisterebbe!"Marli ebbe una bella idea e disse a Veitli:"Coraggio Veitli, guidaci tu! Io dietro a tutti resto quaggiù."Ma Veitli non gli diede retta e Jackli disse:"Schulz dovrà essere il condottiero, è un grande onore di cui va fiero!"Allora il signor Schulz si fece coraggio e disse solennemente:"Orsù con valore si vada a pugnare, ciascuno il coraggio or deve mostrare!"E tutti insieme si scagliarono sul drago. Il signor Schulz si fece il segno di croce e invocò Dio in suo aiuto; ma poiché, tutto questo non servì a nulla ed egli si avvicinava sempre di più al nemico, si mise a gridare, pieno di paura: "Auh! Auh! Auh! Auh!" A quell'urlo la lepre si svegliò, si spaventò e corse via. Quando il signor Schulz la vide abbandonare il campo, gridò, pieno di gioia:"Del mostro, Veitli, raccontaci un po', di' come in lepre si trasformò."La combriccola degli svevi andò in cerca di altre avventure e giunse sulle rive della Mosella, un fiume muscoso, calmo e profondo; non vi sono molti ponti che lo attraversano, e spesso bisogna farsi traghettare con una barca. Poiché, i sette svevi non lo sapevano, chiamarono un uomo che lavorava al di là del fiume e gli domandarono come si potesse passare dall'altra parte. A causa della distanza, e anche per via del loro dialetto, l'uomo non capì che cosa volessero e domandò nel suo trevirese: " - "Wat? Wat?" - " (Cosa? cosa?). Il signor Schulz capì: " - "Wade, wade" - " (Guada, guada); e, siccome era il primo, si avviò per entrare nella Mosella. Non tardò molto a sprofondare nella melma e le onde lo travolsero; ma il vento portò il suo cappello sull'altra riva, e una rana vi si fermò vicina e gracidò: "Cra, cra, cra." Gli altri sei, dall'altra parte l'udirono e dissero: "Il nostro compagno, il signor Schulz, ci chiama; se lui ha potuto passare a guado, perché, non farlo anche noi?" Allora tutti quanti, lesti, saltarono in acqua e affogarono, e fu così che una rana ne uccise sei, e della combriccola sveva nessuno fece ritorno.

— FINE —

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