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KHM 110
Un contadino aveva un servo fedele e zelante, al suo servizio già da tre anni senza che egli gli avesse mai dato il suo salario. Finalmente il servo pensò che non intendeva lavorare per niente, andò dal padrone e disse: "Vi ho servito tutto questo tempo con solerzia e lealtà, perciò confido in voi perché, mi diate ciò che mi spetta di diritto." Ma il contadino era uno spilorcio, e sapeva che il servo era d'animo semplice; così prese tre centesimi e gliene diede uno per anno: questa era la sua paga. Il servo pensava di avere in mano un grosso capitale e pensò: "Perché, vorresti ancora crucciarti; adesso puoi aver cura di te e andare in giro per il mondo a fartela bene." Così mise il suo bel capitale in uno zaino e se ne andò allegramente per monti e valli. Una volta giunse in un campo saltando e cantando e gli apparve un ometto che gli domandò la causa della sua gioia. "Perché, mai dovrei essere triste? Ho salute e denaro in abbondanza, non ho certo bisogno di preoccuparmi. Ho con me tutto ciò che ho guadagnato e risparmiato prestando servizio per tre anni." - "A quanto ammonta il tuo tesoro?" chiese l'omino. "Tre bei centesimi" rispose il servo. "Regalami i tuoi tre centesimi: sono un pover'uomo." Il servo aveva buon cuore e provò compassione per l'omino, così gli diede i soldi. L'omino disse: "Dato che il tuo cuore è buono, ti concedo tre desideri, uno per centesimo: avrai quel che desideri." Il servo ne fu soddisfatto e pensò che preferiva della roba al denaro; poi disse: "Per prima cosa desidero un archibugio che colpisca tutto quello che prendo di mira; in secondo luogo un violino, e quando suono tutti quelli che sentono devono ballare; e in terzo luogo, se domando qualcosa, che nessuno possa rifiutarla." L'omino disse: "Avrai tutte queste cose!" Gli diede violino e archibugio, e poi se ne andò per la sua strada. Il servo, che già si riteneva fortunato prima, pensava ora di esserlo dieci volte di più.
Poco dopo incontrò un vecchio ebreo che se ne stava ai piedi di un albero in cima al quale, sul ramo più alto, c'era una piccola allodola che cantava, cantava. "Bontà divina!" esclamò l'ebreo "cosa può mai fare una simile bestiola! Non so che darei per averla!" - "Se è tutto qui" disse il servo "sarà facile farla cadere." Prese la mira e centrò l'uccello che cadde dall'albero. "Andate a raccoglierlo" disse poi. Ma l'uccello era caduto in uno spineto ai piedi dell'albero. Allora l'ebreo si fece strada nello spineto e, quando vi fu in mezzo, il servo tirò fuori il suo violino e si mise a suonare. Subito l'ebreo si mise a ballare senza posa, e prese a saltare sempre più in fretta e sempre più alto. Ma le spine gli laceravano le vesti, sicché, qua e là pendevano dei brandelli, lo graffiavano e lo ferivano da fargli sanguinare tutto il corpo. "Per l'amor di Dio!" gridò l'ebreo. "Smetta vossignoria con quel violino, che ho mai fatto di male?" Ma l'allegro servitore pensò: "Hai scorticato la gente a sufficienza: ora avrai altrettanto" e si mise a suonare un'altra danza. Allora l'ebreo si mise a pregarlo e gli promise del denaro se smetteva di suonare. Ma i soldi non bastavano mai al servo che continuò a suonare finché, l'ebreo non gli promise cento bei fiorini che teneva nella borsa e che aveva appena estorti a un poveraccio. Quando il servo vide tutto quel denaro, disse: "Così va bene." Prese la borsa e ritirò il violino; poi continuò per la sua strada allegro e tranquillo. L'ebreo uscì dallo spineto mezzo nudo e malandato, si mise a pensare a come poteva vendicarsi e gridò al violinista quante ingiurie sapeva. Poi corse da un giudice e si lamentò dicendo di essere stato derubato del suo oro da un furfante che, per giunta, l'aveva ridotto da far pietà; colui portava un fucile sulla schiena e un violino a tracolla. Allora il giudice inviò messi e sbirri a cercarlo, ed egli fu ben presto rintracciato e condotto a giudizio. Allora l'ebreo lo accusò di avergli rubato il denaro, ma il servo disse: "Non è vero, il denaro me lo hai dato tu perché, smettessi di suonare." Ma il giudice andò per le spicce e condannò il servo alla forca. Questi era già salito sulla scala a pioli, e aveva la corda al collo, quando disse: "Signor giudice, vogliate concedermi un'ultima preghiera!" - "Ti sia concessa" rispose il giudice "purché, tu non chieda la grazia." - "No, non si tratta della grazia" rispose il servo. "Vi prego di lasciarmi suonare per l'ultima volta il mio violino." Allora l'ebreo si mise a gridare: "Per amor di Dio, non permetteteglielo! Non permetteteglielo!" Ma il giudice disse: "Gli spetta e così sia." Del resto non poteva rifiutare, proprio per quel dono che era stato concesso al servo. L'ebreo gridò: "Ahimè! Legatemi stretto!" Il servo prese il violino e al primo colpo di archetto tutti si misero a dondolare e a traballare, giudice, scrivani e uscieri, e nessuno poté legare l'ebreo; al secondo colpo d'archetto, il boia lasciò andare il servo e si mise a ballare; quando si mise a suonare ballarono tutti insieme: il giudice e l'ebreo davanti e tutta la gente che si era radunata sul mercato per assistere. All'inizio era divertente, ma poi, siccome il violino e la danza non cessavano, presero a strillare miseramente e lo pregarono di smettere, ma egli continuò finché, il giudice non gli concesse la grazia e gli promise di lasciargli anche i cento fiorini. Poi disse ancora all'ebreo: "Furfante, confessa donde ti viene il denaro, o continuo a suonare solo per te!" - "L'ho rubato, l'ho rubato! Tu, invece, l'hai guadagnato onestamente" gridò l'ebreo, e tutti udirono. Allora il servo smise di suonare, mentre l'infame fu impiccato al suo posto.
— FINE —
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