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I sei che si fanno strada per il mondo

KHM 071

C'era una volta un uomo che si intendeva di ogni arte; prestò servizio come soldato, comportandosi in modo valoroso; ma, terminata la guerra, fu congedato e gli dettero tre soldi di compenso. "Aspetta un po'" disse "non mi raggirate tanto facilmente: se trovo gli uomini giusti, il re dovrà darmi le ricchezze di tutto il paese." Pieno di rabbia, andò nel bosco e vide un uomo che aveva sradicato sei alberi come se fossero state spighe di grano. Gli disse: "Vuoi diventare mio servitore e seguirmi?" - "Sì" rispose quello "ma prima voglio portare a mia madre quel mucchietto di legna." Afferrò allora uno degli alberi, lo legò intorno agli altri cinque e, presa la fascina sulle spalle, se la portò via. Poi ritornò e si mise in cammino con il suo padrone che disse: "Noi due dobbiamo farci strada nel mondo." Quand'ebbero percorso un tratto di strada, incontrarono un cacciatore che, in ginocchio, aveva caricato il fucile e stava prendendo la mira. L'uomo gli disse: "A cosa vuoi sparare, cacciatore?" Quello rispose: "A due miglia da qui c'è una mosca sul ramo di una quercia; voglio cavarle l'occhio sinistro." - "Oh, vieni con me" disse l'uomo "noi tre insieme ci faremo strada nel mondo." Il cacciatore andò con loro ed essi arrivarono a sette mulini a vento, le cui ali giravano rapidamente anche se non c'era vento e non si muoveva neanche una foglia. Disse l'uomo: "Non capisco cosa faccia muovere i mulini, non c'è un filo d'aria!" Proseguì il cammino con i suoi servi e, quand'ebbero fatto due miglia, videro un uomo, seduto su di un albero, che si teneva chiusa una narice e soffiava con l'altra. "Che stai facendo lassù?" chiese l'uomo. Quello rispose: "A due miglia da qui ci sono sette mulini a vento; vedete? io soffio per farli girare." - "Oh, vieni con me" disse l'uomo "noi quattro insieme ci faremo strada nel mondo." Allora quello che soffiava scese dall'albero e andò con loro. Dopo un po' videro uno che se ne stava su di una gamba sola: aveva staccato l'altra e se l'era messa accanto. "Ti sei messo comodo per riposare!" esclamò l'uomo. "Sono un corridore" rispose quello "e per non correre troppo in fretta mi sono staccato una gamba; infatti se corro con tutt'e due, vado più veloce di un uccello che vola." - "Oh, vieni con me, noi cinque insieme ci faremo strada nel mondo." Egli andò con loro e dopo un po' incontrarono uno che portava un cappellino che gli copriva tutto un orecchio. Allora l'uomo gli disse: "Che bellino! Ma metti a posto il tuo cappello: hai l'aria di uno sciocco!" - "Non posso" rispose quello "se lo raddrizzo, viene un gran freddo e gli uccelli che se ne stanno all'aria aperta gelano e cadono a terra morti." - "Oh, vieni con me" disse l'uomo "noi sei, tutti insieme, ci faremo strada nel mondo." I sei arrivarono in una città dove il re aveva reso noto che colui che avesse voluto gareggiare con la figlia nella corsa, se vinceva la gara l'avrebbe sposata, ma se perdeva, ci avrebbe rimesso la testa. L'uomo si presentò e disse: "Farò correre il mio servo per me." Il re rispose: "Allora devi impegnare anche la sua vita, sicché, le vostre due teste saranno il pegno della vittoria." Dopo essersi accordati, l'uomo attaccò al corridore l'altra gamba e gli disse: "Adesso sii veloce e aiutami, che si possa vincere." Si era deciso che avrebbe vinto colui che, per primo, avesse portato l'acqua da una lontana sorgente. Il corridore e la principessa ebbero entrambi una brocca e incominciarono a correre nello stesso momento; ma in un attimo, mentre la principessa aveva percorso solo un breve tratto, più nessuno riusciva a vedere il corridore, passato veloce come il vento. In breve tempo giunse alla fontana, attinse l'acqua riempiendo la brocca e tornò indietro. Ma a metà percorso lo prese la stanchezza, depose la brocca, si distese e si addormentò. Appoggiò, tuttavia, la testa su di un teschio di cavallo, per d ormire sul duro e svegliarsi presto. Intanto la principessa, che correva bene anche lei, ma come una persona qualunque, era arrivata alla fonte, e se ne tornava indietro con la brocca piena d'acqua. Quando vide il corridore disteso a terra che dormiva, disse tutta contenta: "Il nemico è nelle mie mani." Gli vuotò la brocca e riprese a correre. Tutto sarebbe stato perduto se il cacciatore, con i suoi occhi acuti, non avesse fortunatamente visto tutto dall'alto del castello. "La principessa non deve averla vinta" disse; poi caricò il fucile e sparò con tanta destrezza da portar via il teschio sotto la testa del corridore senza fargli alcun male. Il corridore così si svegliò, saltò su e vide che la sua brocca era vuota e la principessa già molto lontana. Ma non si perse d'animo, prese la brocca, tornò a riempirla alla fonte e riuscì ad arrivare ancora dieci minuti prima della principessa, vincendo la gara. "Vedete?" disse "finalmente ho adoperato le gambe, perché, prima non si poteva proprio parlare di corsa!"

Ma il re era avvilito, e sua figlia ancora di più all'idea di essere portata via da un qualunque soldato in congedo, e tramarono insieme il modo di sbarazzarsi di lui e dei suoi compagni. Il re le disse: "Ho trovato il sistema; non aver paura, non torneranno più." E disse loro: "Adesso dovete fare baldoria, mangiare e bere tutti insieme." Li condusse in una stanza che aveva il pavimento e la porta di ferro e le finestre chiuse da sbarre di ferro. Nella stanza c'era una tavola sulla quale vi era ogni ben di Dio, e il re disse: "Entrate e godetevela!" E, quando furono entrati, fece sprangare la porta. Poi chiamò il cuoco e gli ordinò di accendere un gran fuoco sotto la stanza affinché, il ferro si arroventasse. Il cuoco obbedì e i sei, mentre sedevano a tavola, incominciarono a sentire un gran caldo e pensarono che fosse effetto del cibo; ma il calore aumentava sempre di più e, quando vollero uscire, trovarono porta e finestra chiusi; allora capirono che il re aveva cattive intenzioni e voleva soffocarli. "Ma non l'avrà vinta!" disse quello con il cappellino "farò venire un freddo tale, che il fuoco dovrà vergognarsi e nascondersi." Drizzò il suo cappellino e subito venne un tale freddo che estinse ogni calore e i cibi incominciarono a gelare nei piatti. Trascorse un paio d'ore il re, credendo che il calore li avesse soffocati, fece aprire la porta e andò a vedere di persona. Ma quando la porta si aprì, erano là tutti e sei freschi e sani; e dissero che erano ben contenti di poter uscire a scaldarsi, perché, con il gran freddo che faceva nella stanza, i cibi si congelavano nei piatti. Allora, pieno di collera, il re scese dal cuoco rimproverandolo aspramente e chiedendogli perché, non avesse eseguito con maggior attenzione ciò che gli era stato ordinato. Ma il cuoco rispose: "Di calore ce n'è abbastanza, andate a vedere voi stesso." E il re vide che sotto la stanza di ferro ardeva un gran fuoco e capì che con quei sei non l'avrebbe spuntata. Allora si mise nuovamente a pensare a come liberarsi di quegli ospiti sgraditi; fece chiamare il loro capo e disse: "Se accetti dell'oro e, in cambio, rinunci ai diritti che hai su mia figlia, ti darò quanto vuoi." - "Sì, maestà" rispose egli "se mi date quanto può portare il mio servo, rinuncio a vostra figlia." Il re era soddisfatto, e quello proseguì: "Tornerò a prenderlo fra quindici giorni." Poi fece radunare tutti i sarti del regno, che per quindici giorni, dovettero starsene seduti a cucire un sacco. Quando il sacco fu pronto, quello che sradicava gli alberi dovette metterselo sulle spalle e recarsi insieme al capo dal re. Il re disse: "Che razza di energumeno è costui che porta sulle spalle quel sacco di tela gigantesco!" e inorridì pensando a quanto oro si sarebbe trascinato via. Allora fece portare una tonnellata d'oro, che dovettero portare sedici dei suoi uomini più forti; ma il forzuto la prese con una mano, la mise nel sacco e disse: "Perché, non ne fate portare subito di più? Questo copre appena il fondo." Così, poco per volta, il re dovette far portare tutte le sue ricchezze; l'uomo le cacciò nel sacco che non era pieno neanche a metà. "Portatene di più" gridò "le briciole non riempiono." Così furono costretti a radunare, in tutto il regno, altri settemila carri colmi d'oro; e quello li mise nel sacco insieme ai buoi che vi erano attaccati. "Non sto a fare il difficile" diss'egli "prendo quel che capita, pur di riempire il sacco." Quanto tutto fu dentro, ci sarebbe stato ancora dell'altro, ma egli disse: "Basta così: si può legare un sacco anche se non è del tutto pieno." Poi se lo caricò sulla schiena e se ne andò con i suoi compagni. Il re, vedendo quell'uomo portare via tutte le ricchezze del paese, andò in collera e ordinò alla cavalleria di montare in sella e di rincorrere i sei uomini per riprendere il sacco. Ben presto i due reggimenti li raggiunsero e gridarono: "Siete prigionieri: mettete giù quel sacco con l'oro o vi travolgeremo!" - "Che cosa?" esclamò quello che soffiava. "Noi prigionieri? Prima dovrete ballare in aria tutti quanti." Si chiuse una narice, mentre con l'altra soffiò contro i due reggimenti che si dispersero nell'aria, oltre i monti, uno qua e l'altro là. Un furiere implorò grazia, dicendo che aveva nove ferite, che era stato coraggioso e che, perciò, non meritava di essere punito. Allora l'uomo soffiò un po' meno forte, sicché, il soldato cadde a terra senza farsi male; poi gli disse: "Adesso ritorna dal re e digli di mandare pure dell'altra cavalleria: soffierei anche quelli per aria!" Il re, quando udì il messaggio, disse: "Lasciateli andare, hanno il diavolo in corpo!" Così i sei portarono a casa tutta quella ricchezza, se la divisero fra loro e vissero felici fino alla morte.

— FINE —

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