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I due fratelli

KHM 060

C'erano una volta due fratelli, uno ricco e uno povero. Il ricco era un orefice ed era malvagio; il povero invece campava facendo scope ed era buono e onesto. Quest'ultimo aveva due figli gemelli che si assomigliavano come due gocce d'acqua. I due ragazzi frequentavano la casa del ricco e, di tanto in tanto, toccava loro qualche avanzo. Un giorno che il pover'uomo era andato nel bosco a raccogliere rami secchi, vide un uccello tutto d'oro, bello come non gli era mai capitato di vederne. Prese un sassolino, glielo gettò e riuscì a colpirlo, ma cadde soltanto una penna d'oro e l'uccello fuggì via. L'uomo prese la piuma e la portò al fratello che la esaminò e disse: "E' oro puro" e in cambio gli diede parecchio denaro. Il giorno seguente, l'uomo salì su una betulla per tagliare qualche ramo quando, d'un tratto, vide levarsi dall'albero il medesimo uccello; si mise a cercare e trovò un nido con dentro un uovo d'oro. Prese l'uovo e lo portò nuovamente al fratello che ripeté: "E' oro puro" e glielo pagò il prezzo dovuto. Infine l'orefice disse: "Vorrei avere anche l'uccello." Il pover'uomo si recò per la terza volta nel bosco e, di nuovo, vide l'uccello posato sull'albero; prese una pietra, lo abbatté, e lo portò al fratello che, in cambio, gli diede un bel gruzzolo di monete d'oro. "Così posso tirare avanti per un po' '' pensò, e se ne andò a casa tutto contento. L'orefice era furbo e accorto e sapeva bene di quale uccello si trattasse. Chiamò la moglie e le disse: "Arrostiscimi l'uccello d'oro, ma bada che non ne manchi neanche un pezzo: voglio mangiarmelo tutto intero." L'uccello, infatti, non era un animale comune, ma era di una specie rara che, a mangiarne il cuore e il fegato, ogni mattina si trovava una moneta d'oro sotto il cuscino. La donna preparò l'uccello, l'infilzò con uno spiedo e lo fece arrostire. Ma mentre l'animale cuoceva sul fuoco, la donna fu costretta a uscire dalla cucina per sbrigare delle faccende; ed ecco entrare di corsa i due figli del povero fabbricante di scope, che si misero davanti allo spiedo e lo fecero girare un paio di volte. E siccome, proprio in quel momento, caddero nella padella due pezzettini, uno disse: "Possiamo ben mangiare quei due bocconcini! Io ho tanta fame, nessuno lo noterà." E li mangiarono. Ma in quella arrivò la donna, e vedendo che stavano mangiando, disse: "Cosa avete mangiato?" - "I due piccoli pezzettini, caduti dall'uccello" risposero. "Erano il cuore e il fegato" esclamò la donna spaventata e, perché, il marito non andasse in collera, sgozzò in tutta fretta un galletto, gli prese il cuore e il fegato e li mise nell'uccello d'oro. Quando fu ben cotto, lo portò all'orefice che se lo mangiò tutto. Il mattino dopo egli pensava di trovare una moneta d'oro sotto il guanciale, e invece non trovò un bel niente. I due bambini erano ignari della fortuna che era loro toccata. Al mattino, quando si alzarono, qualcosa cadde a terra tintinnando: erano due monete d'oro. Essi le presero e le portarono al padre che disse stupito: "Com'è possibile?" Ma quando, il giorno dopo, ne trovarono altre due e così ogni giorno, egli andò dal fratello e gli raccontò quella strana storia. L'orefice capì subito come stavano le cose, e che i bambini avevano mangiato il cuore e il fegato dell'uccello d'oro; allora, per vendicarsi, invidioso e perfido com'era disse al padre: "I tuoi bambini se l'intendono con il diavolo; non prendere il denaro e cacciali da casa, poiché, il diavolo li ha in suo potere e può portare anche te alla dannazione." Il padre temeva il maligno, e, per quanto gli fosse penoso, condusse i due gemelli nel bosco e li abbandonò con il cuore grosso. I due bambini se ne andarono per il bosco qua e là, cercando la via di casa, ma non la trovarono e si persero sempre più. Finalmente incontrarono un cacciatore che domandò loro: "Chi siete, bambini?" - "Siamo i figli del povero fabbricante di scope" risposero; e gli raccontarono che il padre li aveva abbandonati perché, ogni mattina c'era una moneta d'oro sotto il loro guanciale. Il cacciatore era un buon uomo e, siccome i bambini gli piacevano ed egli non ne aveva, se li portò a casa dicendo: "Vi farò io da padre e vi alleverò." Da lui impararono l'arte della caccia, e la moneta d'oro che ognuno trovava al risveglio fu messa da parte nel caso essi ne avessero avuto bisogno in futuro. Quando furono cresciuti, il padre adottivo li condusse un giorno nel bosco e disse: "Oggi dovete sparare voi stessi, perché, possa promuovervi cacciatori." Si appostarono con lui e attesero a lungo, ma selvaggina non ne arrivava. D'un tratto il cacciatore alzò gli occhi e vide un gruppo di oche selvatiche che volavano disposte a triangolo; allora disse a uno dei ragazzi: "Abbattine una per angolo." Egli eseguì l'ordine e superò il suo tiro di prova. Poco dopo arrivò un'altra fila di oche selvatiche, che volavano disposte come se raffigurassero il numero due; il cacciatore ordinò anche all'altro ragazzo di sparare abbattendone una per angolo, e anche questi superò la prova. Allora il cacciatore disse: "Ormai siete dei cacciatori provetti." Poi i due fratelli se ne andarono insieme nel bosco, si consigliarono e concertarono insieme qualcosa. La sera, quando si sedettero a tavola per cena, dissero al padre adottivo: "Non tocchiamo cibo se prima non ci accordate un favore." - "Di che cosa si tratta?" chiese il padre. "Ora che siamo cacciatori" risposero "vorremmo provare a girare il mondo. Permetteteci, dunque, di partire!" Allora il vecchio disse, pieno di gioia: "Parlate da bravi cacciatori; non desideravo di meglio per voi, andate, avrete fortuna!" Ciò detto, mangiarono e bevvero insieme allegramente. Quando giunse il giorno stabilito, il padre adottivo regalò a ciascuno un bello schioppo e un cane; inoltre lasciò che si servissero a piacer loro dell'oro risparmiato. Poi li accompagnò per un tratto di strada e, nel salutarli, diede loro un coltello lucente dicendo: "Se doveste separarvi, piantate questo coltello in un albero al bivio; così, quando uno di voi ritorna, può vedere com'è andata al fratello, poiché, la parte della lama rivolta verso la direzione presa dall'assente arrugginisce se egli muore; finché, vive, invece, rimane lucida." I due fratelli proseguirono e arrivarono in un bosco così grande che era impossibile attraversarlo in un sol giorno. Così vi pernottarono e mangiarono quello che avevano messo nella bisaccia. Ma anche il giorno dopo, pur avendo camminato senza sosta, non riuscirono a uscire dal bosco. Siccome non avevano nulla da mangiare, uno disse: "Dovremmo ammazzare qualcosa, altrimenti patiremo la fame." Caricò lo schioppo e si guardò intorno. Vide venire di corsa una vecchia lepre e prese la mira; ma la lepre gridò:"Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò."Saltò nella macchia e portò due piccoli. Ma i leprotti giocavano così allegramente ed erano così graziosi, che i cacciatori non ebbero il coraggio di ucciderli. Perciò li tennero con s, e i leprotti li seguirono bravamente. Poco dopo, giunse una volpe; volevano spararle ma la volpe gridò:"Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò."E portò due volpacchiotti; e anche questi i cacciatori non osarono ucciderli, li diedero per compagni ai leprotti, e tutti e quattro li seguirono. Poco dopo arrivò un lupo; i cacciatori stavano per sparare, ma anch'egli si salvò la vita gridando:"Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò."I cacciatori misero i due lupacchiotti con gli altri animaletti, e tutti li seguirono. Poi venne un orso, e anch'egli non voleva che gli si sparasse e gridò:"Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò."I cacciatori misero i due orsacchiotti con gli altri animali. E alla fine chi arrivò? Un leone. Questa volta uno dei due giovani prese la mira ma anche il leone disse:"Caro cacciatore, se vivere potrò, volentieri due piccini ti darò." Ora i cacciatori avevano due leoni, due orsi, due lupi, due volpi, e due lepri che li seguivano pronti a servirli. Ma, nel frattempo, la fame non si era calmata; perciò dissero alle volpi: "Ascoltate, sornione, procurateci qualcosa da mangiare, voi che siete astute e maliziose." - "Non lontano da qui" risposero le volpi "c'è un villaggio dove abbiamo già preso diversi polli; vi mostreremo la strada." Raggiunsero il villaggio, si comprarono qualcosa e fecero dar da mangiare anche ai loro animali; poi proseguirono. Le volpi continuarono a indicare ai cacciatori la buona strada, pratiche com'erano dei luoghi ove si trovavano dei pollai. Così vagabondarono per un po', ma non trovarono nessun posto dove potessero prestare servizio insieme.

Allora dissero: "Non c'è altra soluzione, dobbiamo separarci." Si divisero gli animali cosicché, ognuno aveva un leone, un orso, un lupo, una volpe e una lepre, poi si congedarono promettendosi amore fraterno fino alla morte e conficcarono in un albero il coltello donato dal padre adottivo; poi l'uno prese la strada verso oriente, l'altro verso occidente. Il più giovane giunse con i suoi animali in una città tutta parata a lutto. Entrò in una locanda e domandò all'oste se poteva dare alloggio alle sue bestie. L'oste li mise in una stalla che aveva un buco nella parete, così la lepre saltò fuori e andò a prendersi un cavolfiore, mentre la volpe si prese una gallina e, quando l'ebbe mangiata, andò a prendersi un gallo. Invece il lupo, l'orso e il leone non poterono uscire perché, erano troppo grossi. Allora l'oste li fece condurre in un prato dove c'era una mucca, e lasciò che si saziassero. Dopo aver provveduto alle sue bestie, il cacciatore chiese all'oste perché, la città fosse parata a lutto. L'oste rispose: "Perché, domani morirà l'unica figlia del nostro re." - "E' condannata da una malattia?" domandò il cacciatore. "No" rispose l'oste "è sanissima, tuttavia deve morire. Fuori dalla città c'è un'alta montagna sulla quale dimora un drago, che ogni anno deve avere una vergine, altrimenti devasta tutto il paese. Ormai gli sono state date tutte le vergini e non resta che la principessa. Non c'è speranza alcuna, deve essergli consegnata domani." - "Perché, non uccidete il drago?" chiese il cacciatore. "Ah" rispose l'oste "già tanti cavalieri hanno tentato, ma ci hanno rimesso la vita tutti. A chi ucciderà il drago, il re ha promesso che darà sua figlia in sposa e lo farà erede del regno." Il cacciatore tacque, ma il mattino dopo prese i suoi animali e salì con essi sul monte del drago. Lassù trovò una chiesetta e sull'altare c'erano tre calici colmi con accanto la scritta: "Colui che vuoterà questi calici diventerà l'uomo più forte del mondo e brandirà la spada sotterrata davanti alla soglia." Il cacciatore non bevve, uscì e cercò la spada sotto terra, senza tuttavia riuscire a smuoverla. Allora vuotò i calici e divenne forte a sufficienza per poter sollevare la spada e maneggiarla con facilità. Giunta l'ora in cui la principessa doveva essere consegnata al drago, il re, il maresciallo e i cortigiani l'accompagnarono fuori dalla città. Ella vide di lontano il cacciatore sulla cima del monte e, pensando che si trattasse del drago, non voleva più salire, ma alla fine dovette decidersi altrimenti l'intera città sarebbe stata perduta. Il re e i cortigiani se ne tornarono a casa profondamente addolorati, mentre il maresciallo dovette rimanere a sorvegliare che il drago portasse via la fanciulla. Quando la principessa giunse sulla montagna, non trovò il drago ad attenderla, bensì il giovane cacciatore. Egli la consolò dicendole che l'avrebbe salvata, poi la condusse nella chiesetta e ve la rinchiuse. Poco dopo, ecco arrivare con gran fracasso il drago dalle sette teste. Vedendo il cacciatore, si stupì e disse. "Che sei venuto a fare qui sul monte?" Il cacciatore rispose: "Voglio combattere con te." - "Già tanti cavalieri hanno perso la vita" disse il drago "la spunterò anche con te!" E lanciò fuoco dalle sette fauci, per incendiare l'erba all'intorno e soffocare il cacciatore nella vampa e nel fumo. Ma le bestie accorsero e lo spensero subito con le zampe. Allora il drago si scagliò contro il cacciatore, ma questi brandì la spada risonante e gli tagliò tre teste. Allora il drago s'infuriò: si alzò in aria vomitando fiamme e tentando di avventarsi sul cacciatore, ma egli tornò a vibrar la spada e gli mozzò altre tre teste. Il mostro cadde sfinito eppure volle di nuovo lanciarsi contro il giovane che, con le ultime forze che gli restavano, gli mozzò la coda. Poi, incapace di lottare ancora, quest'ultimo chiamò le sue bestie perché, sbranassero il drago. Terminato il combattimento, il cacciatore aprì la chiesa e trovò la principessa distesa a terra, svenuta per la paura e l'angoscia. La portò fuori per farle riprendere i sensi e quand'ella aprì gli occhi, le mostrò il drago fatto a pezzi e le disse che era libera. Felice, ella esclamò: "Sarai il mio diletto, poiché, mio padre mi ha promessa a colui che avrebbe ucciso il drago" Poi si tolse la collana di corallo e la divise fra gli animali, e al leone toccò il fermaglietto d'oro. Invece al cacciatore diede il fazzoletto con il suo nome; ed egli andò a tagliare le lingue dalle sette teste del drago e le avvolse serbandole con cura. Fatto questo, poiché, era esausto per il fuoco e la lotta, disse alla fanciulla: "Siamo sfiniti tutti e due, dormiamo un po'!" Ella acconsentì, si sdraiarono a terra e il cacciatore disse al leone: "Veglia, che nessuno ci sorprenda nel sonno!" e si addormentarono entrambi. Il leone si distese accanto a loro per vegliare, ma la lotta aveva stancato anche lui, perciò chiamò l'orso e gli disse: "Sdraiati accanto a me, io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami." L'orso gli si sdraiò accanto, ma anch'egli era stanco, perciò chiamò il lupo e disse. "Sdraiati accanto a me, io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami." Il lupo gli si sdraiò accanto, ma era stanco anche lui, così chiamò la volpe e disse: "Sdraiati accanto a me io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami." La volpe gli si sdraiò accanto, ma anche lei era stanca, così chiamò la lepre e le disse: "Sdraiati accanto a me, io devo dormire un po'; se succede qualcosa chiamami." La lepre le si sdraiò accanto, ma era stanca anche lei, poverina, e non poteva chiamare nessuno a fare la guardia; e si addormentò. Così dormivano la principessa, il cacciatore, il leone, l'orso, il lupo, la volpe e la lepre; e tutti quanti dormivano un sonno profondo. Ma il maresciallo, che aveva dovuto vigilare di lontano, non vedendo il drago volar via con la fanciulla, e poiché, sul monte tutto era tranquillo, si fece coraggio e salì. Lassù trovò il drago che giaceva a terra fatto a pezzi e, non molto lontano, c'era la principessa e un cacciatore con i suoi animali, tutti profonda mente addormentati. E poiché, egli era empio e malvagio, afferrò la spada e mozzò la testa al cacciatore; poi prese in braccio la fanciulla e la portò giù dal monte. Ella si svegliò e inorridì; ma il maresciallo disse: "Ormai sei nelle mie mani, devi dire che sono stato io a uccidere il drago." - "Non posso farlo" rispose ella "è stato un cacciatore con i suoi animali." Allora egli trasse la spada e minacciò di ucciderla se non avesse obbedito; così la obbligò a dargli la propria parola. Poi la condusse dal re il quale non si teneva più dalla gioia, rivedendo la sua cara figliola che immaginava già uccisa dal mostro. Il maresciallo disse: "Ho ucciso il drago e liberato la fanciulla e il regno; perciò chiedo che ella mi sia data in moglie, secondo la promessa." Il re domandò alla fanciulla: "E' vero ciò che dice?" - "Ah sì" rispose "ma desidero che le nozze non siano celebrate prima di un anno e un giorno." Sperava infatti di sapere qualcosa del suo caro cacciatore, in quel periodo di tempo. Sul monte del drago gli animali dormivano ancora accanto al loro signore morto, quando arrivò un grosso calabrone che si posò sul naso della lepre; ma la lepre lo scacciò con la zampa e continuò a dormire. Il calabrone tornò una seconda volta, ma la lepre lo scacciò di nuovo e continuò a dormire.

Allora tornò una terza volta e le punse il naso, svegliandola. Ella si svegliò e subito chiamò la volpe, la volpe il lupo, il lupo l'orso, e l'orso il leone. E quando il leone si svegliò e vide che la fanciulla non c'era più e che il suo signore era morto, si mise a ruggire terribilmente e gridò: "Chi ha fatto questo? Orso, perché, non mi hai svegliato?" L'orso chiese al lupo: "Perché, non mi hai svegliato?" e il lupo alla volpe: "Perché, non mi hai svegliato?" e la volpe alla lepre: "Perché, non mi hai svegliato?" Ma la povera lepre non seppe cosa rispondere, e la colpa ricadde su di lei. Volevano saltarle tutti addosso, ma ella li supplicò dicendo: "Non uccidetemi, restituirò la vita al nostro padrone. Conosco un monte sul quale cresce una radice che, a metterla in bocca, guarisce ogni malattia e ogni ferita. Ma la montagna si trova a duecento ore da qui." Il leone disse: "In ventiquattr'ore devi andare e tornare con la radice." La lepre corse via e ritornò dopo ventiquattr'ore con la radice. Il leone mise la testa del cacciatore sul tronco, e la lepre gli mise in bocca la radice; i pezzi si ricongiunsero all'istante, il cuore ricominciò a battere e la vita tornò in lui. Il cacciatore si svegliò e, non vedendo la fanciulla accanto a s, pensò: "E' fuggita mentre dormivo per liberarsi di me." Nella fretta, il leone gli aveva messo la testa al contrario, senza che egli se ne accorgesse, assorto com'era nei suoi tristi pensieri. Ma, a mezzogiorno, quando volle mangiare qualcosa vide che aveva la faccia di dietro, non riuscendo a capire il perché, domandò agli animali che cosa mai gli fosse successo mentre dormiva. Allora il leone gli raccontò che anche loro si erano addormentati e, al risveglio, lo avevano trovato morto con la testa mozza; la lepre era però andata a prendere la radice della vita e lui, nella fretta, gli aveva messo la testa nel verso sbagliato; ma avrebbe rimediato all'errore. Gliela strappò di nuovo, la girò, e la lepre la fissò con la radice. Ma il cacciatore era triste; non volle più tornare in città e se ne andò in giro per il mondo, facendo ballare le sue bestie in pubblico. Era trascorso proprio un anno quando gli capitò di ritornare là dove aveva liberato la principessa dal drago e, questa volta, la città era parata di scarlatto. "Cosa significa?" chiese all'oste. "Un anno fa la città era parata con nastri neri, perché, mai oggi vi sono paramenti rossi?" L'oste rispose: "Un anno fa, la figlia del nostro re doveva essere sacrificata al drago; ma il maresciallo l'ha ucciso, e domani saranno festeggiate le loro nozze: allora la città era, dunque, parata a lutto, mentre oggi è parata di rosso in segno di gioia." Il giorno delle nozze, il cacciatore disse all'oste a mezzogiorno: "Ci crede, signor oste, che oggi mangerò pane della tavola reale?" - "Sì" rispose l'oste "e io ci scommetto cento monete d'oro che non è vero." Il cacciatore accettò la scommessa e giocò una borsa con altrettante monete. Poi chiamò la lepre e disse: "Va', tu che sei destra nel saltare, e portami un po' del pane che mangia il re." Il leprottino era il più piccolo degli animali e non poteva passare l'incarico a un altro, perciò dovette incamminarsi. "Ah" pensava "ad andarmene così solo in giro per le strade, i cani mi correranno dietro!" E infatti aveva ragione: i cani lo inseguivano per rammendargli la pelliccia! Ma egli, in men che non si dica, spiccò il balzo e andò a nascondersi in una garitta, senza che il soldato se ne accorgesse. Arrivarono i cani a scovarlo, ma al soldato non garbò l'affare e si mise a dar botte con il calcio del fucile, sicché, scapparono urlando. Il leprotto ebbe così via libera; corse al castello, andò a mettersi proprio sotto la sedia della principessa e le gratt ò il piede. "Va' via!" diss'ella pensando che fosse il suo cane. La lepre le grattò di nuovo il piede ed ella ripeté: "Va' via!" credendo che fosse il cane. Ma la lepre non si lasciò confondere e grattò per la terza volta; ella abbassò gli occhi e, dalla collana, riconobbe la lepre. Allora prese l'animale in grembo, lo portò nella sua camera e disse: "Cara lepre, cosa vuoi?" La lepre rispose: "Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un pane, di quello che mangia il re." Piena di gioia, ella fece chiamare il fornaio e gli ordinò di portare un pane, di quello che mangiava il re. "Ma il fornaio deve anche portarmelo" disse il leprottino "perché, i cani non mi facciano nulla." Il fornaio glielo portò fino alla porta dell'osteria; poi la lepre si mise sulle zampe posteriori, prese il pane con quelle anteriori e lo portò al suo padrone. Il cacciatore disse: "Vede, signor oste? Le cento monete d'oro sono mie." L'oste si meravigliò, ma il cacciatore aggiunse: "Sì, signor oste, ho avuto il pane, ma adesso voglio mangiare anche l'arrosto del re." - "Voglio proprio vedere" replicò l'oste, ma non volle più scommettere. Il cacciatore chiamò la volpe e le disse: "Volpicina mia, va' e portami un po' di arrosto, di quello che mangia il re." Pelo Rosso la sapeva più lunga, sgattaiolò di qua e di là senza che neanche un cane la vedesse, andò a infilarsi sotto la sedia della principessa e le grattò il piede. Ella guardò giù e riconobbe la volpe dalla collana; se la portò in camera e disse: "Cara volpe cosa vuoi?" La volpe rispose: "Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un po' di arrosto di quello che mangia il re." La principessa fece venire il cuoco che dovette preparare un arrosto come quello del re, e portarlo fino alla porta dell'osteria; poi la volpe gli prese il piatto e lo portò al suo signore. "Vede, signor oste?" disse il cacciatore. "Pane e carne sono qua, ma ora voglio anche la verdura, di quella che mangia il re." Allora chiamò il lupo e gli disse: "Caro lupo, va' e portami un po' di verdura, di quella che mangia il re." Il lupo che non aveva paura di nessuno, andò dritto al castello e, quando arrivò nella stanza dov'era la principessa, la tirò per la veste perché, si voltasse. Ella lo riconobbe dalla collana, se lo portò in camera e disse: "Caro lupo, cosa vuoi?" Il lupo rispose: "Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chieder un po' di verdura, di quella che mangia il re" Allora ella mandò a chiamare il cuoco che dovette preparare della verdura come quella che mangiava il re, e portarla fino alla porta dell'osteria; poi il lupo prese il piatto e lo portò al suo signore. "Vede, signor oste?" disse il cacciatore. "Ora ho pane, carne e verdura, ma voglio anche il dolce, come lo mangia il re." Chiamò l'orso e gli disse: "Caro orso, tu ti ingozzi volentieri di dolci, va' e prendimene un po' di quelli che mangia il re." L'orso trottò fino al castello, e tutti lo evitavano, ma quando giunse davanti al corpo di guardia, gli puntarono contro il fucile e non volevano lasciarlo passare. Allora l'orso si rizzò e con le zampe assegnò un paio di schiaffi a destra e a sinistra, sicché, tutto il corpo di guardia cadde a terra; poi se ne andò dritto dalla principessa, si fermò dietro di lei e brontolò un po' Ella si volse, riconobbe l'orso, lo introdusse nella sua camera e gli disse: "Caro orso, cosa vuoi?" L'orso rispose: "Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un dolce, di quelli che mangia il re." Allora ella fece chiamare il pasticcere che dovette preparare un dolce come quelli che mangiava il re, e portarlo fino all'osteria; poi l'orso si rizzò sulle zampe di dietro, prese il piatto e lo portò al suo padrone che disse: "Vede, signor oste, ora ho pane, carne, verdura e dolce, ma adesso voglio anche il vino del re." Chiamò il leone e disse: "Caro leone, tu che bevi volentieri, va' a prendermi un po' di vino, di quello che beve il re." Il leone si mise in cammino e la gente scappava al vederlo; e quando giunse al corpo di guardia, volevano sbarrargli il passaggio; ma bastò un ruggito e filarono via tutti quanti. Il leone andò alla sala del trono e bussò alla porta con la coda. La principessa uscì e, vedendolo, per poco non si spaventò, ma poi lo riconobbe dal fermaglio d'oro della sua collana, lo condusse in camera sua e disse: "Caro leone, cosa vuoi?" Il leone rispose: "Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui e mi manda a chiedere un po' di vino, di quello che beve il re." Allora ella fece chiamare il coppiere perché, desse al leone un po' di vino, di quello che beveva il re. Ma il leone disse: "Andrò anch'io a controllare che mi dia quello buono." Scese con il coppiere e, quando furono in cantina, questi voleva spillargli del vino comune, di quello che bevono i servi; ma il leone disse: "Fermo lì, prima voglio assaggiarlo." Se ne spillò mezzo boccale e lo bevve in un sorso. "No" disse "non è quello buono." Il coppiere lo guardò storto, ma andò a prenderne da un'altra botte, che era quella del maresciallo. Disse il leone: "Fermo lì, prima voglio assaggiarlo." Se ne spillò un mezzo boccale e lo bevve. "Questo è migliore, ma non è ancora quello buono." Allora il coppiere si arrabbiò e disse: "Cosa vuol saperne di vino una bestia!" Ma il leone gli assestò una botta dietro le orecchie che lo fece cadere malamente a terra; e quando si rialzò lo condusse in silenzio in una cantina a parte, dove si trovava il vino del re, che a nessun altro era concesso di bere. Il leone ne spillò mezzo boccale, lo assaggiò e disse: "Questo sì che è buono" e ordinò al coppiere di riempirgliene sei bottiglie. Poi salirono di sopra ma quando il leone si trovò all'aperto, barcollava, un po' brillo, e il coppiere dovette così portargli il vino fino alla porta dell'osteria; poi il leone prese il cesto e lo portò al suo padrone. Il cacciatore disse: "Vede, signor oste? Ora ho pane, carne, verdura, dolce e vino, come il re; adesso mangerò con le mie bestie." Si mise a tavola, mangiò e bevve e diede da mangiare e da bere anche alla lepre, alla volpe, al lupo, all'orso e al leone, ed era tutto contento perché, capiva che la principessa lo amava ancora. Quand'ebbe terminato di mangiare, disse: "Signor oste, ho mangiato e bevuto come mangia e beve il re; ora andrò a corte e sposerò la principessa." L'oste domandò: "Com'è possibile, dato che ha già un fidanzato e oggi si sposeranno?" Il cacciatore allora tirò fuori il fazzoletto che gli aveva dato la principessa sul monte del drago e in cui si trovavano avvolte le sette lingue del mostro, e disse: "Mi aiuterà ciò che tengo in mano." L'oste guardò il fazzoletto e disse: "Potrei credere a tutto, ma non a questo, e sarei pronto a giocarmi tutto quel che posseggo." Ma il cacciatore prese una borsa di monete d'oro, la mise sulla tavola e disse: "E io mi gioco questa." Nel frattempo alla tavola reale il re disse alla figlia: "Che cosa volevano da te tutte quelle bestie che sono entrate e uscite dal mio castello?" Ella rispose: "Non posso dirlo, ma mandate a chiamare il loro padrone: sarà cosa ben fatta." Il re mandò un servo alla locanda a invitare il forestiero, e il servo arrivò proprio quando il cacciatore e l'oste stavano scommettendo. Allora il cacciatore disse: "Vede, signor oste? Il re manda un servo a invitarmi, ma io non ci vado ancora." Poi disse al servo: "Di' al re che lo prego di mandarmi abiti regali, una carrozza con sei cavalli, e dei servi ai miei ord ini."

Quando il re udì la risposta, disse alla figlia: "Cosa devo fare?" Ella disse: "Mandatelo a prendere come desidera: sarà cosa ben fatta." Allora il re mandò abiti regali, una carrozza con sei cavalli e dei servi ai suoi ordini. Vedendoli arrivare, il cacciatore disse: "Vede, signor oste? Vengono a prendermi come voglio io." Indossò gli abiti regali, prese il fazzoletto con le lingue del drago e si recò dal re. Vedendolo venire, il re disse alla figlia: "Come devo riceverlo?" Ella rispose: "Andategli incontro: sarà cosa ben fatta." Allora il re gli andò incontro e lo fece salire, con tutti i suoi animali. Gli indicò un posto accanto a s, e a sua figlia, mentre il maresciallo, in qualità di sposo, si sedette dall'altra parte, senza riconoscere il cacciatore. Proprio in quel momento furono portate le sette teste del drago e il re disse: "Queste teste le ha mozzate il maresciallo, per questo oggi gli darò mia figlia in isposa." Allora il cacciatore si alzò in piedi, aprì le sette fauci e disse: "Dove sono le sette lingue del drago?" Il maresciallo sbalordì e si fece pallido non sapendo che cosa rispondere; infine disse turbato: "I draghi non hanno lingua." - "Coloro che mentono non dovrebbero averla" esclamò il cacciatore "ma le lingue del drago sono il segno del vincitore." Sciolse il fazzoletto, dov'erano tutte e sette, e in ogni fauce mise una lingua che combaciò perfettamente. Poi prese il fazzoletto, sul quale era ricamato il nome della principessa, lo mostrò alla fanciulla, e le domandò a chi l'avesse dato. Ella rispose: "A chi ha ucciso il drago." Poi egli chiamò le sue bestie, a ciascuna tolse la collana e al leone tolse il fermaglio d'oro, li mostrò alla principessa chiedendole a chi appartenessero. Ella rispose: "Sono miei; ho diviso la collana fra gli animali che aiutarono a sconfiggere il drago." Allora il cacciatore disse: "Mentre dormivo, spossato dal combattimento, è giunto il maresciallo che mi ha mozzato la testa, e ha portato via la principessa dando a credere di essere stato lui a uccidere il drago. Ma che abbia mentito, lo dimostrano le lingue, il fazzoletto e la collana." E raccontò come le sue bestie l'avevano risanato grazie a una radice miracolosa e che, con loro, aveva girovagato per un anno; infine, ritornato, aveva appreso l'inganno del maresciallo dall'oste. Allora il re chiese alla figlia: "E' vero che costui ha ucciso il drago?" - "Sì, è vero" rispose ella. "Ora posso finalmente rivelare la scelleratezza del maresciallo, dato che è venuta alla luce senza il mio aiuto; egli mi aveva infatti costretta a promettergli di tacere. Per questo ho voluto che le nozze non fossero celebrate prima di un anno e un giorno." Allora il re fece chiamare dodici consiglieri che dovettero pronunciarsi sulla sorte del maresciallo e sentenziarono che fosse squartato da quattro buoi. Così il maresciallo fu giustiziato, e il re diede la figlia in isposa al cacciatore e lo nominò suo luogotenente in tutto il regno. Le nozze furono festeggiate con grande gioia, e il giovane re mandò a prendere suo padre e il padre adottivo e li colmò di ogni bene. Non dimenticò neanche l'oste; lo fece chiamare e gli disse: "Vede, signor oste? Ho sposato la principessa, perciò ogni Suo avere è mio" - "Sì" rispose l'oste "sarebbe giusto." Ma il giovane re disse: "Invece Le farò grazia: terrà il Suo avere e le regalerò anche le mille monete d'oro." Ora il giovane re e la regina vivevano insieme felici e contenti. Egli si recava spesso a caccia, essendo per lui il miglior divertimento, e le bestie lo accompagnavano. Nelle vicinanze, c'era un bosco che si diceva fosse incantato: chi vi entrava non ne usciva tanto facilmente. Ma il giovane aveva tanta voglia di andarvi a cacciare, che non lasciò in pace il vecchio re finché, questi non gli accordò il suo permesso. Così partì a cavallo con un seguito numeroso ma, quando giunse nel bosco, vide una cerva bianca come la neve, e disse ai suoi: "Fermatevi qui finché, non sarò di ritorno, voglio cacciare quel bell'animale" e lo rincorse a cavallo, addentrandosi nel bosco, seguito soltanto dalle sue bestie. Gli uomini del seguito lo aspettarono fino a sera, ma egli non tornò; allora rientrarono al castello e raccontarono alla giovane regina: "Il giovane re ha inseguito una cerva bianca nel bosco incantato e non ha più fatto ritorno." Ella era in grande apprensione, ma egli aveva rincorso a cavallo il bell'animale, senza poterlo mai raggiungere; quando pensava che fosse a tiro, eccolo di nuovo distante, finché, sparì del tutto. Accortosi di essersi addentrato nel più folto del bosco, prese il corno e lo suonò, ma non ricevette risposta poiché, il suo seguito non poteva udirlo. Calarono le tenebre ed egli vide che per quel giorno non poteva fare ritorno a casa; scese da cavallo e si accese un fuoco sotto un albero, per passarvi la notte. Mentre se ne stava accanto al fuoco con le bestie distese vicino, gli parve di udire una voce umana; si guardò attorno ma non riuscì a scorgere nessuno. Poco dopo tornò a udire un gemito che pareva provenire dall'alto; alzò gli occhi e vide una vecchia seduta sull'albero, che si lamentava dicendo: "Uh, uh, uh, che freddo!" Egli disse: "Scendi a scaldarti, se hai freddo." Ma ella replicò: "No, le tue bestie mi mordono." - "Non ti fanno niente, nonnina" disse egli "vieni pure giù." Ma ella era una strega e disse: "Ti getterò una bacchetta; se li tocchi con quella sul dorso, non mi faranno niente." Gli gettò una bacchetta, e con quella egli toccò le bestie, che subito giacquero immobili, trasformate in pietra. Quando la strega non ebbe più paura degli animali, saltò giù e toccò anche lui con una bacchetta trasformandolo in pietra. Poi, ridendo, lo trascinò con i suoi animali in una fossa, dove c'erano già altre pietre di quella sorta. Il giovane re non tornava mai e la paura e la preoccupazione della regina aumentavano sempre di più. Ora avvenne che proprio in quel tempo giunse nel regno l'altro fratello che, al momento della separazione, se ne era andato verso oriente. Aveva cercato invano un lavoro, poi aveva girato qua e là facendo ballare le sue bestie. Un giorno gli venne in mente, per sapere come stesse suo fratello, di andare a vedere il coltello che, nel separarsi, essi avevano conficcato nell'albero. Quando giunse al bivio vide che, dalla parte del fratello, la lama era per metà arrugginita e per metà ancora lucida. Spaventato, egli pensò: "A mio fratello deve essere accaduta una terribile disgrazia, ma forse posso ancora salvarlo, perché, la lama è ancora lucida a metà." E si mise in cammino verso occidente. Quando giunse alla porta della città, gli venne incontro la sentinella domandandogli se doveva annunciare alla moglie il suo arrivo: già da un paio di giorni la giovane regina era in ansia per la sua assenza, temendo che fosse perito nel bosco incantato. La sentinella credeva infatti che si trattasse del giovane re in persona tanto gli assomigliava, anch'egli seguito dagli animali. Egli comprese così che si trattava del fratello e pensò: "E' meglio che mi faccia passare per lui, così potrò forse salvarlo più facilmente." Si fece, dunque, accompagnare dalla sentinella al castello, dove fu ricevuto con gran gioia. La giovane regina credette che fosse il suo sposo, ed egli le raccontò di essersi smarrito nel bosco senza sapere come uscirne. La sera fu condotto al letto regale, ma fra s, e la giovane regina mise una spada a due tagli; ella non comprese il perché, ma non osò fare domande. Egli rimase là un paio di giorni, cercando di scoprire tutto ciò che riguardava il bosco incantato; alla finedisse: "Voglio andare di nuovo a cacciare laggiù." Il re e la giovane regina volevano dissuaderlo, ma egli insistette e partì con un gran seguito. Quando giunse nel bosco vide anche lui la cerva bianca e disse ai suoi: "Rimanete qui ad aspettarmi finché, non sarò di ritorno, voglio cacciare quel bell'animale" ed entrò nel bosco seguito dalle sue bestie. Gli accadde lo stesso che al fratello: non pot, raggiungere la cerva bianca e si addentrò tanto nel bosco che fu costretto a pernottarvi. Quand'ebbe acceso un fuoco, udì gemere dall'alto: "Uh, uh, uh, che freddo!" Alzò gli occhi e vide la strega sull'albero. "Se hai freddo" disse "scendi a scaldarti, nonnina." Ma ella rispose: "No, le tue bestie mi mordono." - "Non ti fanno niente" disse egli. La strega replicò: "Ti getterò una bacchetta; se li tocchi con quella, non mi fanno niente." Ma il cacciatore diffidò delle sue parole e disse: "Le mie bestie non le tocco; vieni giù o vengo a prenderti!" Ella gridò: "Cosa credi? tanto non puoi farmi nulla!" Ma egli rispose: "Se non scendi, sparo." Ella disse: "Spara pure, le pallottole non mi faranno nulla." Egli prese la mira e sparò, ma la strega era invulnerabile al piombo; diede una risata stridula e gridò: "Non riuscirai a colpirmi!" Ma il cacciatore la sapeva lunga: strappò dalla giubba tre bottoni d'argento e li mise nello schioppo poiché, contro l'argento le arti della strega erano vane; e, quando sparò, ella precipitò a terra urlando. Allora egli disse, tenendola ferma con un piede: "Vecchia strega, se non confessi subito dov'è mio fratello, ti prendo e ti butto nel fuoco." Piena di paura, ella chiese grazia e disse: "E' in una fossa, insieme alle sue bestie, trasformato in pietra." Egli la costrinse ad accompagnarlo dicendo: "Vecchio gattomammone, adesso ridesti mio fratello e tutti coloro che sono qui dentro, o finisci nel fuoco." Ella prese una bacchetta e toccò le pietre: il fratello si ridestò, insieme ai suoi animali, e così tanta altra gente si alzò: mercanti, artigiani e pastori, lo ringraziarono per averli liberati e se ne tornarono a casa. I due fratelli si baciarono, felici di rivedersi. Poi afferrarono la strega, la legarono e la buttarono nel fuoco, e, quando fu bruciata, il bosco si aprì, facendosi chiaro e luminoso, sicché, si poteva vedere il castello reale, a tre ore di cammino. I due fratelli ritornarono a casa insieme e, per via, si raccontarono le loro avventure. E quando il più giovane disse di essere il luogotenente del re, l'altro aggiunse: "Me ne sono accorto! Quando sono arrivato in città, infatti, mi hanno scambiato per te e sono stato trattato con tutti gli onori: la giovane regina mi ha creduto il suo sposo e ho dovuto mangiare al suo fianco e dormir nel tuo letto." All'udir queste parole, il fratello, geloso e furente, trasse la spada e gli tagliò la testa. Ma quando giacque a terra morto, ed egli ne vide scorrere il sangue vermiglio, si pentì amaramente e disse: "Mio fratello mi ha liberato dall'incantesimo, e io l'ho ucciso!" e si lamentava a gran voce. Allora venne la sua lepre e gli disse che sarebbe andata a prendere la radice miracolosa. Corse via e la portò ancora in tempo: il morto fu risuscitato e non s'accorse affatto della ferita. Proseguirono il cammino e il giovane disse: "Tu hai il mio aspetto, indossi vesti regali come me e, come me, hai delle bestie al tuo seguito: entriamo in città da due porte opposte e presentiamoci insieme al vecchio re." Si separarono e al vecchio re si presentarono nello stesso momento, le sentinelle dell'una e dell'altra porta, ad annunciargli che il giovane re era tornato dalla caccia con i suoi animali. Il re disse: "Non è possibile, le porte distano un'ora l'una dall'altra." Ma in quella, i due fratelli entrarono da parti opposte nel cortile del castello e salirono insieme. Allora il re disse a sua figlia: "Dimmi dunque qu al è tuo marito. Si somiglian tanto ch'io non potrei dirlo." Ella era in grande imbarazzo e non avrebbe saputo dirlo, quando le venne in mente la collana che aveva dato agli animali. Vide al collo di uno dei leoni il fermaglio d'oro, ed esclamò tutta contenta: "Il padrone di questo leone è il mio vero sposo." Il giovane re si mise a ridere e disse: "Sì, è proprio vero!" Sedettero a tavola tutti insieme e mangiarono e bevvero allegramente. La sera, quando il giovane re andò a letto, sua moglie gli disse: "Perché, le notti scorse hai sempre messo nel nostro letto una spada a due tagli? Ho creduto che volessi uccidermi." Allora egli capì come il fratello gli fosse stato fedele.

— FINE —

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