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KHM 020
Una mattina d'estate, un piccolo sarto sedeva al suo tavolo, davanti alla finestra, e cuciva. Giù per la strada veniva una contadina gridando: "Marmellata buona! Marmellata buona!" Queste parole suonarono piacevoli all'orecchio del piccolo sarto; sporse la testolina dalla finestra e chiamò: "Quassù, brava donna! Qui spaccerete la vostra merce." La donna salì e dovette aprire tutta la sua cesta. L'omino ispezionò bene ogni pentola, e infine comprò soltanto un quarto di libbra, cosicché, la donna se ne andò di pessimo umore e brontolando. "Che Dio benedica la mia marmellata" disse il piccolo sarto "e mi dia forza e vigore!" Prese del pane, ne tagliò un pezzo per il lungo e ci spalmò sopra la marmellata. "Deve avere un buon sapore" disse "ma prima di morderlo voglio finire il farsetto." Mise il pane accanto a s, riprese a cucire e dalla gioia faceva punti sempre più lunghi. Nel frattempo l'odore della marmellata era salito su per la parete fino ad arrivare a un nugolo di mosche che si precipitarono giù. Ma il piccolo sarto ogni tanto si voltava a guardare il pane, e così scoprì le intruse. "Olà" esclamò "chi vi ha invitato?" e le cacciò via. Ma le mosche, che non capivano la lingua, non si lasciarono respingere e tornarono ancora più numerose. Il piccolo sarto perse la pazienza, prese un pezzo di stoffa dalla sua cassetta e: "Aspettate, ve la darò io!" e giù colpi. Quando la smise e contò, ben sette mosche gli giacevano davanti morte stecchite. "Sei così bravo?" disse ammirato fra s' e s'. "Deve saperlo tutta la città." E in fretta e furia si tagliò una cintura, la cucì e vi ricamò sopra a grandi lettere: "Sette in un colpo!" - "macché, città!" proseguì "tutto il mondo lo deve sapere!" E il cuore gli balzava di gioia come un codino d'agnello. Poi si legò la cintura intorno alla vita e frugò per tutta la casa se non ci fosse nulla da portarsi via, poiché, voleva andarsene per il mondo. Ma in casa trovò solamente un vecchio formaggio e se lo cacciò in tasca. Davanti alla porta con un colpo di fortuna acchiappò un uccello che andò a tenere compagnia al formaggio. Poi prese la strada fra le gambe e salì su di un'alta montagna, e quando ne ebbe raggiunto la cima ecco là seduto un gran gigante. "Ehilà, camerata!" disse il piccolo sarto al gigante "te ne stai qui seduto a guardarti il mondo? Io pure mi sono incamminato per provare le mie forze. Hai voglia di venire con me?" Il gigante lo guardò e disse: "Tu, essere miserabile!" - "Proprio!" disse il piccolo sarto, si sbottonò la giacca e mostrò al gigante la cintura: "Qui puoi leggere che uomo sono." Il gigante lesse. "Sette in un colpo!" pensò che si trattasse di uomini uccisi e incominciò ad avere un po' di rispetto per il piccolo sarto. Ma prima volle metterlo alla prova: prese in mano una pietra e la strinse fino a farne gocciolare fuori dell'acqua. "Adesso fallo tu" disse il gigante "se ne hai la forza." - "Tutto qui?" disse il piccolo sarto. "Lo so fare anch'io." Mise la mano in tasca, tirò fuori il formaggio guasto e lo spremette tanto che ne sgorgò il succo. "E' ancor meglio, non è vero?" disse. Il gigante non sapeva che dire, e non poteva credere che quell'omino fosse capace di tanto. Raccolse allora una pietra e la gettò così in alto che si stentava a vederla. "Adesso, anatroccolo, fallo anche tu" disse al piccolo sarto. "Subito" rispose questi. "Il tuo tiro era buono, ma la pietra ha pure dovuto ricadere a terra; adesso te ne lancerò io una, che non tornerà." Mise la mano in tasca, prese l'uccello e lo lanciò in aria. L'uccello, felice di essere libero, salì e volò via. "Ti piace il tiro, camerata?" domandò il sarto. "Lanciare, sai lanciare bene" disse il gig ante "ma adesso vediamo se sei capace di portare qualche bel peso."
Lo condusse a una grossa quercia pesante, che giaceva al suolo abbattuta, e disse: "La porteremo insieme fuori dal bosco." - "Tu prendi il tronco in spalla" disse l'omino "io solleverò e porterò i rami e le fronde; è la parte più pesante." Il gigante sollevò il tronco e se lo mise sulle spalle, mentre il sarto si sedette dietro su di un ramo, e il gigante dovette portare lui e l'intero albero. Il sarto là dietro era allegrissimo e fischiettava delle canzoncine, come se portare alberi fosse un gioco da ragazzi. Dopo aver trascinato tutto quel peso per un tratto di strada, il gigante non ne pot, più e disse: "Ascolta, devo lasciare cadere l'albero." Il piccolo sarto saltò giù e afferrò l'albero con entrambe le braccia, come se l'avesse portato, e disse al gigante: "Sei così grosso e non sai portare un albero!" Proseguirono insieme e, passando vicino a un ciliegio, il gigante afferrò la chioma dell'albero, dov'erano i frutti più maturi, e la diede al sarto, perché, mangiasse anche lui. Ma il piccolo sarto era troppo debole per resistere alla forza dell'albero e fu scagliato in aria. "Come mai, non hai la forza di tenere quella bacchettina?" domandò il gigante. Ed egli rispose: "Credi che sia un gran che per uno che ne ha colpiti sette in una volta? Sai perché, l'ho fatto? Perché, qua sotto i cacciatori sparano nella macchia. Fallo anche tu se ne sei capace." Il gigante provò, ma non riuscì a saltare oltre l'albero poiché, finiva sempre tra i rami e vi si impigliava; così anche questa volta il piccolo sarto ebbe il sopravvento. Il gigante disse: "Vieni nella nostra caverna e pernotta da noi." Il piccolo sarto lo seguì di buona voglia. Il gigante gli diede allora un letto dove poteva riposarsi. Il piccolo sarto però non si coricò, ma si rannicchiò in un angolo. A mezzanotte il gigante venne con una sbarra di ferro, con un colpo sfondò il letto e pensò: "Finalmente è finita con quella cavalletta, così non si farà più vedere." Il giorno dopo i giganti andarono nel bosco e avevano completamente dimenticato il piccolo sarto, che credevano morto, quand'eccolo arrivare tutto allegro e baldanzoso. I giganti, sbigottiti, ebbero paura di essere tutti uccisi e fuggirono a precipizio. Il piccolo sarto proseguì per la sua strada, sempre dietro la punta del suo naso, fino a quando giunse nel cortile di una reggia, e siccome era stanco si sdraiò nell'erba e si addormentò. Mentre dormiva giunse della gente del re, l'osservarono da ogni parte e lessero sulla cintura: "Sette in un colpo!" - "Ah" dissero "cosa vorrà questo gran guerriero, qui, in tempo di pace? Dev'essere certamente un potente signore." Avvertirono il re e gli dissero: "In caso di guerra sarebbe un uomo utile e importante; non dovete lasciarvelo scappare!" Al re piacque il consiglio e inviò al piccolo sarto uno dei suoi uomini che appena egli si fosse svegliato, doveva offrirgli di entrare al suo servizio. Il sarto accettò e disse: "Sono venuto proprio per questo, per servire il re" Così fu ricevuto con grandi onori, e gli venne assegnato un alloggio particolare. Ma i guerrieri gli erano ostili e si auguravano che andasse all'inferno. "Come andrà a finire?" dicevano fra loro. "Se attacchiamo lite e lui mena botte, ne cadono sette a ogni colpo. Noialtri non possiamo fargli fronte!" Si risolsero quindi ad andare tutti insieme dal re, lo pregarono di congedarli e dissero: "Non siamo fatti per resistere a un uomo così forte." Il re era spiacente di dover perdere tutti i suoi servi a causa di uno solo, se ne sarebbe sbarazzato volentieri e rimpiangeva il momento in cui l'aveva incontrato. Ma non osava congedarlo, perché, temeva ch'egli l'uccidesse con tutto il suo popolo e occupasse il trono. Meditò a lungo e alla fine ebbe u n'idea: mandò a dire al piccolo sarto che, siccome egli era un così grande eroe, voleva fargli una proposta. In un bosco del suo regno c'erano due giganti che facevano gran danno con rapine, assassinii, incendi; nessuno poteva avvicinarli anche se armato. Se egli li avesse uccisi, gli avrebbe dato sua figlia in sposa e metà del regno per dote; inoltre cento cavalieri l'avrebbero accompagnato per dargli manforte. "Sarebbe un bel colpo per un uomo come te" pensò il piccolo sarto. "Una bella principessa e un mezzo regno non sono mica male!" - "Oh, sì" rispose "i giganti li domerò e i cento cavalieri non mi occorrono: chi ne abbatte sette in un colpo non può temerne due." Così si mise in cammino e, quando giunse al limitare della foresta disse ai cavalieri: "Rimanete fuori, con i giganti me la sbrigherò io" Entrò e guardò di qua e di là. Finalmente li trovò entrambi che dormivano sotto un albero e russavano tanto da far oscillare i rami. "Il gioco è fatto!" disse il piccolo sarto; si riempì le tasche di pietre e salì sull'albero. Poi incominciò a gettare una pietra dopo l'altra sul petto di uno dei due giganti, fino a quando questi si svegliò stizzito, urtò il compagno e disse: "Ehi, perché, mi batti?" - "Tu sogni" rispose l'altro "non ti batto affatto." Stavano di nuovo per addormentarsi, quando il piccolo sarto gettò al secondo una pietra sul petto; quello saltò su e disse: "Cosa hai intenzione di fare, cosa mi getti?" - "Non ti getto proprio nulla" disse il primo. Litigarono per un po' ma, siccome erano stanchi, lasciarono stare e chiusero di nuovo gli occhi. Allora il piccolo sarto ricominciò il suo gioco, scelse la pietra più grossa, e la gettò con tutte le sue forze sul petto del primo gigante che gridò: "Questo è troppo!", saltò su come un pazzo e picchiò il compagno. All'altro non andò a genio e lo ripagò di ugual moneta; allora si infuriarono tanto che divelsero gli alberi, e si azzuffarono finché, caddero morti. "Meno male" disse il piccolo sarto "che non hanno divelto l'albero su cui stavo, sennò avrei fatto un brutto salto!" Scese poi allegro dall'albero, sfoderò la spada e, in tutta tranquillità, affibbiò loro qualche bel fendente nel petto, poi andò dai cavalieri. "Là giacciono i due giganti" disse. "Ho fatto loro la festa, ma ci voleva proprio uno che ne abbatte sette in un colpo, perché, messi alle strette, hanno ancora divelto degli alberi!" - "Siete ferito, per caso?" domandarono i cavalieri. "Ci vuol pratica" rispose il piccolo sarto "ma non mi hanno torto un capello." I cavalieri non volevano credergli e s'inoltrarono nella foresta: trovarono i giganti immersi nel loro sangue, e intorno gli alberi divelti. Allora essi si meravigliarono ed ebbero ancora più paura del piccolo sarto perché, non dubitavano che li avrebbe uccisi tutti qualora gli fossero stati nemici. Ritornarono al castello e raccontarono tutto al re; poi giunse anche il piccolo sarto e disse: "Ora voglio la principessa e metà regno." Ma il re si era pentito della sua promessa e pensava di nuovo a come togliersi dai piedi l'eroe, al quale non voleva affatto dare la figlia. Così gli disse che se la voleva sposare doveva prima catturare un unicorno che correva nella foresta arrecando danno a uomini e animali. Il piccolo sarto ne fu felice, prese una cordicella, andò nella foresta e ordinò alla scorta di aspettarlo fuori poiché, voleva catturare da solo l'unicorno. Penetrò poi nella foresta, e vagò qua e là in cerca dell'unicorno. Ben presto arrivò l'unicorno e si avventò dritto contro il sarto per infilzarlo. "Piano, piano!" diss'egli. Si fermò aspettando che l'animale gli fosse ben vicino, poi saltò rapidamente dietro un albero. L'unicorno correva tanto veloce che non ebbe il te mpo di cambiare direzione, cosicché, si avventò contro l'albero e infisse il corno nel tronco così saldamente che, pur usando tutta la sua forza, non riuscì a ritrarlo e rimase imprigionato. Allora il piccolo sarto sbucò da dietro l'albero, gli mise la cordicella intorno al collo e lo condusse prima dai compagni e poi dal re, cui rammentò la promessa fattagli. Il re si impaurì, ma escogitò una nuova astuzia e gli disse che, prima che si tenessero le nozze, egli doveva catturargli un cinghiale che correva nella foresta; i cacciatori lo avrebbero aiutato. "Volentieri" disse il piccolo sarto "è la cosa meno difficile." Così andò ancora una volta nella foresta lasciando fuori i cacciatori, ed essi ne furono ben contenti perché, il cinghiale li aveva già accolti spesso in modo da levare la voglia di dargli la caccia. Quando il cinghiale vide l'omino, gli si avventò contro con la schiuma alla bocca arrotando i denti, e voleva buttarlo a terra. Ma il piccolo sarto si trovava accanto a una cappella, vi balzò dentro e, agilmente, uscì subito dalla finestra. Il cinghiale lo aveva seguito, ma quando il piccolo sarto balzò fuori corse a chiudere la porta, e la bestia rimase imprigionata perché, non riusciva a saltare fino alla finestra. Egli chiamò allora i cacciatori affinché, vedessero la preda, e poi si recò dal re e disse: "Ho catturato il cinghiale e, con esso, anche la principessa." E' facile immaginare se il re fosse contento o no della notizia; ma non sapeva più che cosa obiettare, dovette perciò mantenere la promessa e accordargli la figlia. Almeno credeva che egli fosse un eroe; se avesse saputo che non si trattava che di un piccolo sarto, gli avrebbe dato più volentieri una corda. Così le nozze furono celebrate con gran pompa e poca gioia, e di un sarto si fece un re. Dopo alcuni giorni, di notte, la giovane regina udì il piccolo sarto dire, sognando: "Garzone, fammi la giubba e rattoppami i calzoni, o ti darò il metro sulle orecchie." Allora capì di dove sbucasse il suo signor sposo, e, il mattino dopo, si lamentò con il padre e lo pregò di aiutarla a liberarsi di quell'uomo che non era che un sarto. Il re la consolò e disse: "La notte prossima, lascia aperta la tua camera da letto; fuori ci saranno i miei servi e, quando sarà addormentato, entreranno e lo faranno prigioniero." La donna ne fu contenta; ma l'armigero del re aveva sentito tutto e, siccome era affezionato al giovane signore e gli era fedele, corse da lui e gli raccontò tutto. Il piccolo sarto disse di buon animo: "Metterò riparo alla cosa." La sera andò a letto con la moglie all'ora solita e fece finta di dormire; ella si alzò, aprì la porta e si rimise a letto. Allora il piccolo sarto incominciò a gridare con voce squillante: "Garzone, fammi la giubba e rattoppa i calzoni, o ti darò il metro sulle orecchie! Ne ho presi sette in un colpo, ho ucciso due giganti, catturato un unicorno e un cinghiale: e dovrei avere paura di quelli là fuori, davanti alla camera?" Quando udirono queste parole, tutti fuggirono come se fossero stati rincorsi da mille diavoli, e nessuno osò avvicinarsi al sarto. Così egli era e rimase re per tutta la vita.
— FINE —
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